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sabato 25 aprile 2009






L´Ordine fondato da don Bosco compie un secolo e mezzo.
L´orgoglio di
don Pellini: "Uno stile fatto di cultura e lavoro"
"Generazioni di torinesi sono cresciute coi Salesiani"
adfasdf
"Il nostro modello? Amicizia, capacità di ascoltare, fede.
Le accuse di
Onfray ci hanno ferito"


Millecinquecento religiosi a Torino e provincia, un esercito che non è stato risparmiato dalla crisi delle vocazioni «ma che certamente è fatto da uomini e donne di qualità». I salesiani celebrano oggi a Valdocco i 150 anni di fondazione dell´ordine con la presenza del rettor maggiore Pascual Chavez Villanueva, in questi giorni in visita a Torino. L´ordine venne fondato il 18 dicembre 1859. Le celebrazioni di questi giorni sono l´occasione per riflettere sul ruolo di una congregazione che da più di un secolo è tra i protagonisti della vita della città. Don Sergio Pellini è il vice ispettore, il numero due dei salesiani torinesi.


Don Pellini, qual è oggi la missione dei salesiani a Torino?

«È, ovviamente aggiornata ai tempi, quella di sempre: puntare sulla formazione dei giovani per promuovere un sistema educativo applicato nelle scuole, negli oratori, nei centri di formazione professionale, divulgato attraverso case editrici come la Ldc e la Sei, attraverso mezzi di comunicazione come le radio e le tv».


Qual è l´essenza del vostro metodo educativo?

«Il nostro è innanzitutto uno stile. Fatto di amicizia, della capacità di ascoltare i giovani, della convinzione, che animò don Bosco, che attraverso l´educazione e l´apprendimento di un mestiere si riesce a dare ai ragazzi uno stile di vita, delle regole, una capacità di credere, una fede. I primi ragazzi riuniti da don Bosco nell´oratorio erano ragazzi poveri, che avevano storie difficili alle spalle, per i quali imparare un mestiere poteva essere la strada verso un riscatto non solo sociale ma anche morale». Storicamente le scuole professionali dei salesiani torinesi sono servite a preparare le aristocrazie operaie della grande industria».


Oggi qual è il legame tra la vostra congregazione e le aziende?

«Ha continuato ad essere molto forte. Proprio in questi giorni viene inaugurato a Chatillon un centro di formazione realizzato in collaborazione con la Fiat per avviare i ragazzi all´uso dei nuovi macchinari che vengono introdotti sulle linee di montaggio. Questo non avviene solo con le aziende metalmeccaniche ma anche con società che operano in altri settori come quello della grafica».


La vostra non è solo una formazione tecnica ma anche culturale. Nel corso del Novecento nelle vostre scuole si è formato il nocciolo duro mdei capisquadra della Fiat. Oggi quali valori trasmettete ai loro eredi?

«Il nostro obiettivo è certamente quello di formare dei bravi professionisti ma soprattutto di formare degli uomini. Il fatto che la persona sia al centro del nostro insegnamento è in linea con il nuovo modo di concepire i rapporti tra dipendenti sui luoghi di lavoro. In questo, forse, siamo stati degli anticipatori».


Recentemente il filosofo Michel Onfray ha espresso, proprio a Torino, un duro giudizio sui salesiani che ha conosciuto da bambino in morfanotrofio. Esistono ancora i convitti-caserma cui faceva riferimento Onfray?

«Ho letto quell´intervista e confesso che sono rimasto ferito da quei giudizi. Certo, tutti siamo perfettibili e anche noi salesiani possiamo aver commesso degli errori. Devo dire che non è facile governare istituti come gli orfanotrofi dove i ragazzi non arrivano certo per loro volontà ma per condizioni familiari difficili. In ogni caso mi sembra che Onfray parli di situazioni che in Italia non ci sono più da tempo. In Piemonte abbiamo un solo convitto, a Lombriasco, in cui i ragazzi vivono per lunghi periodi. Oggi il problema non è quello di avere una disciplina rigida. Chiedere il rispetto di alcune regole può diventare un elemento importante per l´educazione dei ragazzi».


Paolo Griseri

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